Il 21 marzo, primo giorno di primavera (data scelta in quanto simbolo di vita e di rinascita), si celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. L’iniziativa, realizzata per la prima volta nel 1996 su proposta di don Ciotti e dell’associazione Libera, nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e – spiegano i promotori sul loro sito – non sente mai pronunciare il suo nome.
Ecco perché, ogni anno in una città diversa, viene organizzata una manifestazione in cui vengono lentamente pronunciati i nomi di tutte le vittime innocenti delle mafie, per fare in modo che non vengano mai dimenticate.
Nel 2017 la Giornata è stata riconosciuta anche da una legge dello Stato, in cui tra l’altro si invitano le scuole a tenere momenti di approfondimento finalizzati alla “sensibilizzazione sul valore storico, istituzionale e sociale della lotta alle mafie e sulla memoria delle vittime delle mafie”. Che purtroppo sono tante. Tantissime. Ricordarle tutte è un dovere morale oltre che un impegno civile. E’ giusto farlo perché ci fa essere consapevoli del fatto che la mafia non risparmia nessuno di coloro che, anche per sbaglio, si vengono a trovare sul suo percorso di morte e distruzione.
Personalmente ci tengo a commemorare, tra gli altri, tre bambini: Giuseppe Letizia, pastorello corleonese ucciso perché testimone incolpevole dell’omicidio di Placido Rizzotto; Giuseppe Di Matteo ucciso per dare un segnale al papà che stava collaborando con la giustizia e Claudio Domino sulla cui uccisione non è ancora stata fatta piena luce. Contro la mafia tolleranza zero.






